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PIETRO LEEMAN: JOIA, UNA FILOSOFIA DI VITA

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Pietro Leeman, lo Chef svizzero ma milanese d’adozione ci apre le porte del suo celebre ristorante. Una ricerca profonda per abbinare il cibo ad un percorso spirituale, condiviso con i suoi ospiti. E nel suo nuovo libro Il sale della vita si racconta attraverso le sue esperienze più intime. di Bruno Quiriconi

 

Ristoranti vegetariani – non improvvisati – ce ne sono pochi anche se sono in costante aumento; a Milano il Joia ha una sua storia consolidata e, soprattutto, un percorso in evoluzione costante grazie al suo ideatore, co-fondatore e attuale proprietario nonché Chef stellato: Pietro Leeman. La cucina vegetariana si può definire superficialmente la sua cifra stilistica, in realtà, approfondendo la conoscenza dell’uomo e dell’artista (lo è, indubbiamente) si scoprono sfumature – ciascuna nel proprio ambito – sintetizzabili in una unica radice: una filosofia di vita. Spiritualità, norme comportamentali, ricerca spasmodica, cultura dell’ingrediente e del ciclo di lavorazione, medicina, chimica e – su un fronte complementare – letteratura e una costante voglia di viaggiare esplorando nuovi territori, persone, cose, conoscenze, in particolar modo dell’oriente.

Poi ci sono i premi, col loro reverbero attraverso la stampa e i media (anche qualche invito dai colleghi di Masterchef ), ma sono una naturale conseguenza dell’eccellenza e della volontà indomita di offrire al cliente soprattutto un’esperienza. L’organizzazione dietro le quinte del Joia è fi glia del r igore d i L eeman, con una squadra di collaboratori formata da un gruppo consolidato di cuochi, aiutanti e addetti al servizio: una cura maniacale e una preparazione soltanto avvertita dall’ospite. La statura di un uomo non si vede solo dalla sua professione ma dall’ombra più ampia proiettata o percepita.

L’intervista a Pietro Leeman

Ci sono ancora pregiudizi su un ristorante vegetariano di grande livello?
Il presupposto è che i ristoranti vegetariani gourmet in tutto il mondo non sono più di una decina. Questo per vari motivi. Il vegetarianesimo è stato approcciato dalle persone con punti di partenza diversi per motivi etici, salutisti, filosofici. Tutto questo non è stato ben capito dal mercato e chi si è lanciato sino ad oggi a fare questo tipo di ristoranti si è rivelato spesso un idealista con poca praticità e capacità di fare. I cuochi sono prettamente carnivori e magari poco aperti alla cucina vegetariana. Eppure se guardiamo al giorno d’oggi è pieno boom di questa tipologia: la domanda è maggiore dell’offerta. In Italia siamo al dieci per cento del totale, in costante crescita.

Il Joia è sempre pieno con le prenotazioni, se ne parla molto ed ha un grande successo. Essendo stato anche il primo in Italia è diventato – col tempo – uno status symbol. Nulla è lasciato al caso. È un ristorante di grandi intenti: quindici cuochi per cinquanta coperti; la ricerca è esasperata, i prodotti biologici e biodinamici con produttori che coltivano esclusivamente per noi. Da poco abbiamo creato il nostro orto sinergico a pochi chilometri dal locale, vicino ad Abbiategrasso. È un ristorante proiettato al futuro per quello che per me e per molti dovrebbe essere l’alimentazione. La cucina deve curare non solo l’aspetto del cibo ma soprattutto la salute.

Sembrerebbe quasi un’opera di pedagogia.
Siamo soprattutto un esempio per i colleghi, sensibili alla nostra cucina. Ben vengano altri ristoranti vegetariani, è un successo anche per noi. Noi abbiamo aperto 25 anni fa. C’è stato un cambio epocale rispetto a quando ho iniziato: è aumentata la cultura ed è diventata un valore. In questa ottica insieme a un gruppo di amici giornalisti abbiamo organizzato un concorso, Vegetarian Chanche, nel quale i cuochi si sfidano ed anche un modo per stimolare il pensiero.

Tutte queste trasformazioni stanno accadendo molto rapidamente. Oggi gli Chef sono sulla cresta dell’onda e molto visibili anche grazie ai talent show, di conseguenza dovrebbero essere altrettanto responsabili. Quando la persona ci guarda deve imparare qualcosa che fa stare bene.

Lei è diventato vegetariano molti anni fa. Oggi può anche essere considerata una moda e un business questa formula.
Sicuramente. Ma la trasformazione è in corso. Noi siamo ciò che mangiamo.

La scelta di essere vegetariani comporta un cambiamento di stile di vita. Una nuova visione. Ho assistito molte volte a queste trasformazioni: le persone sbocciano. La carne appesantisce la coscienza e ne abbassa il livello. Appesantisce il fisico. Chi cessa di cibarsi di carne sente un cambiamento radicale.

Cipriani seguita a salutare “democraticamente” ogni cliente ai tavoli, la sua presenza è rassicurante; capita anche a Lei o preferisce soffermarsi in cucina?
Io amo moltissimo stare in sala e conversare con i clienti. Ogni volta che posso prendo io personalmente la comanda e chiedo sempre “com’è andata?”. Faccio da ponte tra ciò che si vede dai tavoli e il “dietro le quinte” in cucina.

C’è un approccio filosofico e poi – ovviamente – l’ospite è qui per degustare e passare una bella serata. Non faccio mai proselitismo. Se qualcuno mi chiede un approfondimento sono sempre disponibile e lo faccio con molto piacere e con altrettanta discrezione.

La cosa per me più interessante è che io possa portare avanti un messaggio: non prevedendo violenza sugli animali è un messaggio virtuoso, del quale mi nutro e che mi rende felice. I piatti nascono come idee. Poi vengono realizzati, elaborati insieme ai miei collaboratori. Ma è altrettanto importante il rapporto con i clienti, ed è anche molto divertente. La nostra vita succede attraverso le relazioni, il resto è un corollario. Nel 1989 insieme ad un gruppo di amici abbiamo aperto il Joia. Eravamo idealisti. L’idealismo spesso non basta ma nel nostro caso abbiamo trovato il modo di trasformarlo e realizzarlo in qualcosa di valido.

Chi mangia del pesce ed esclude la carne come si può definire?
Non è un vegetariano ma è sulla strada potenziale per diventarlo. Anche io sono stato onnivoro. E non è che adesso mi senta migliore degli altri. Le mie figlie non sono vegetariane. Chiunque arrivi a questa teoria è frutto di una scelta.

Se in futuro la invitassero a riprodurre il suo ristorante a New York o a Tokyo accetterebbe?
Il Joia è un locale molto efficace per portare il mio messaggio. Per cenare qui i clienti vengono da ogni parte del mondo. Anche i ristoratori vengono a visitarci. Quindi sto in Italia.

A pranzo i prezzi sono decisamente contenuti.
La nostra idea è che l’ospite possa spendere dai 15 ai 110 euro a seconda della sua scelta. Per molti anni il Joia è stato un posto elitario, dal punto di vista economico. Ma io trovo che la cucina che fa bene debba essere alla portata di tutti. Non vedo perché chi è ricco debba consumare tutte le energie solo perché consuma di più.

Stanno proliferando i supermercati biologici, qual’è la sua impressione?
L’aspetto più interessante di questo momento storico che stiamo vivendo è il fatto che moltissime persone, soprattutto chi pensa profondamente, non accetta più di mangiare in un certo modo approssimativo ma vuole determinare personalmente la sua scelta. Quindi non crede più a certi messaggi della pubblicità. Le persone riflettono e grazie alla disponibilità della rete sono collegate tra loro; è una comunità che si sviluppa e diventa sempre più grande in barba a qualsiasi tentativo di contenerla. È affascinante.

A proposito di web, ha postato una foto di un negozio artigianale prossimo alla chiusura scrivendo di essere rimasto colpito e commosso dall’anziana proprietaria ed invitando i suoi followers ad andarla a trovare anche solo per scambiare due chiacchiere. Anche questo piccolo esempio stigmatizza la sua differenza rispetto agli Chef tradizionali. Una grande umanità e altrettanta umiltà.
È un messaggio di scambio. Io porto la mia esperienza sul web ma in questo caso ho parlato dell’esperienza di questa signora. È fondamentale l’umiltà: io commetto molti errori, sono tutt’altro che perfetto e mi metto sinceramente in gioco con il massimo delle possibilità con i limiti oggettivi che ho. Ci sono molte persone sincere conosciute da me e spesso cerco di condividere con chi mi segue questi incontri. L’ho fatto recentemente anche con un panettiere romano che incontro appena posso, vegano.

Divulgare è sempre importante. È il mio fine quello di divulgare il più possibile questo mondo. Lo faccio anche attraverso i libri, l’ultimo è Il sale della vita appena pubblicato per Mondadori. Io sono convinto della grande responsabilità che ha chiunque voglia divulgare di cucina. Ciò che è successo è che ci si è disgiunti da quello che si fa; questo è un grave errore. Noi raccogliamo anche le conseguenze di quello che facciamo quindi bisogna essere molto vigili. Si è rotto il rapporto causa-effetto.

Il mio lavoro nasce da una passione. Non è focalizzante ma è strumentale al mio lavoro e all’evoluzione della mia cucina. Se la mia coscienza migliora, ne beneficiano le relazioni, i tempi, i piatti. La vita è un viaggio nel quale ogni giorno ci si mette alla prova, ci si confronta. E se si è determinati si può migliorare: mi sento più equilibrato oggi a 53 anni di quando ero più giovane nel pieno delle mie forze fisiche. È un approccio spirituale e penso che la vita debba avere un senso compiuto o diventa un percorso vuoto.

La sostanza dei nostri piatti è naturale: ciò che facciamo ci corrisponde. Questa naturalezza va a toccare nel profondo chi assaggia i nostri piatti. Il fatto che alcuni abbiano deviato verso l’artificialità è un errore di fondo. Chi viene da noi è predisposto al cambiamento e questo è bellissimo.

Sito web ufficiale Joia di Petro Leeman

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