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IL PERFETTO EQUILIBRIO TRA MUSICA CLASSICA E ROCK

mantanus

Si intitola Beethoven e la ragazza coi capelli blu, edito da Mondadori, il nuovo libro di Matthieu Mantanus. L’autore costruisce un canovaccio nel quale un giovane artista rock viene sedotto da una ragazza che suona il contrabbasso, innamorata della musica classica. di Guido Biondi

 

L’obiettivo non dichiarato è quello di calamitare qualche lettore pop e rock nel “salotto buono” della musica classica. In realtà Mantanus vuole abbattere la leggenda della torre d’avorio che da sempre circonda la musica colta in favore di una divulgazione sposata perfettamente con la formula romanzo. Un libro apparentemente leggero, nell’accezione migliore, con una storia avvincente e l’ombra della scintilla dell’amore. I protagonisti sono un cantante rock – di origini di buona famiglia aristocratica – e una contrabbassista di estrazione classica (coi capelli blu), turnista per gruppi rock. La scena cruciale si trova nelle pagine iniziali, quando la ragazza, da poco entrata nel gruppo per sostituire un componente, esce dallo studio di registrazione per rilassarsi su una collina della campagna toscana. La raggiunge il leader del gruppo: complice un aneddoto sulla vita di Beethoven, tra i due inizia una conversazione non ordinaria destinata ad abbattere ogni steccato tra i due mondi musicali. Il leader del gruppo metterà a frutto tutto ciò che ha imparato attraverso i racconti dettagliati e appassionati della bassista: Schubert, Schumann, Horowitz, Debussy e tanti altri. Per ciascuno dei compositori si narra vita privata, i loro successi cercando di contestualizzare le loro opere nel loro tempo, analizzando la società di allora. Il frutto di questo strano connubio porterà entrambi i protagonisti a rivoluzionare se stessi. Il finale non ci è concesso di svelarlo ma è tutto fuorché banale. Una delle caratteristiche di questo divertente ed interessante libro, grazie al talento riconosciuto di Mantanus di “divulgare senza annoiare”, è la possibilità – anche attraverso la playlist presente sul sito dell’autore – di ascoltare e, progressivamente, conoscere realtà altrimenti sconosciute per ogni amante della musica rock. Ci si ritrova, senza neanche accorgersene, a studiare la Sagra della primavera, a cercare un quadro di Monet, a discettare di Stravinskij sino a rivalutare il Concerto grosso dei New Trolls e Andrew Lloyd Webber, l’autore di Jesus Christ Superstar. Mantanus, Direttore d’orchestra e pianista di origine svizzero-belga, è stato assistente di Lorin Maazel. Come narratore ha pubblicato per Feltrinelli Una giornata eroica, un libro destinato ai più piccoli. Molti l’hanno conosciuto attraverso la sua partecipazione a Che tempo che fa, condotto da Fabio Fazio, scoprendone le indubbie doti di divulgatore, quasi un Piero Angela Jr. della musica classica. L’abbiamo intervistato in occasione della presentazione del suo nuovo libro. “È lo scopo per il quale ho scritto e strutturato il libro: far conoscere la musica classica in una dimensione piacevole”, racconta Mantanus, “è il mondo dal quale provengo ma ho sempre amato parallelamente anche la musica rock, i Queen in particolare”.

Una delle tematiche principali del suo libro è portare la musica classica nell’arena dei linguaggi contemporanei.
Il mondo nel quale viviamo ha una tale vastità di cultura, soprattutto come accesso alle informazioni, mai visto prima. Nelle generazioni che io chiamo social-mediatiche vedo una disponibilità e un interesse a tutto quello che è nuovo ed intrigante. È una cosa che dovremmo interiorizzare: ci rivolgiamo a un pubblico diverso con una cultura, un linguaggio e una sensibilità cambiata completamente negli ultimi vent’anni. L’approccio con la musica è stato rivoluzionato: è tutto molto più rapido e visivo. Diverso non significa peggiorato. Uno dei più grandi errori è considerare la musica classica come un genere tra gli altri. La classica è – in realtà – il tronco comune di tutto quello che l’umanità ha prodotto di musica negli ultimi duemila anni. Non ha senso dire che “io faccio musica classica”. E non ha senso ghettizzare i diversi generi musicali. Mai come oggi vi è un totale incrocio fra i diversi stili musicali. Noi consideriamo la storia musicale come un filo: stile barocco, classico etc. Io preferisco vederlo come un albero: noi stiamo crescendo, accumulando musica, sensibilità, esperienze e tutto questo – alla fine – è il nostro albero. Anche chi non ascolta musica classica ha al suo interno – poiché vive in questo mondo – questo seme. Si può fare un parallelo con i miti greci: anche se non li conosci bene la tua civiltà è stata costruita su questi elementi. Bisogna vedere oggi quello che definiamo musica classica in quest’ottica: un patrimonio che deve vivere insieme al contemporaneo.

Il panorama rock vive spesso di contaminazioni: dalle incursioni di Sting nella musica classica all’ultimo album di Bowie con musicisti di free-jazz. Il romanzo cerca di far incuriosire il lettore attraverso le contaminazioni reciproche dei due protagonisti.
Io ho una formazione tipica della musica classica: ho studiato al Conservatorio, ho imparato uno strumento etc. Significa che ho “subito” – lo dico tra virgolette – l’incanalamento sociale di questo tipo di formazione. Visto che consideriamo la classica come un genere io sono stato “inserito” nel genere classico. Ovviamente è impossibile fare astrazione del resto del mondo: ero un grande fan dei Queen, dei Pink Floyd, dei R.e.m.; oggi è un po’ archeologia del rock (ride, n.d.r.). La musica rock l’ho vissuta un po’ in sordina durante l’adolescenza perché non sapevo come avrebbe reagito l’ambiente che frequentavo, forse non benissimo.

Come vede questi due mondi tra vent’anni? Ancora separati o contaminati?
Io spero ardentemente che ci sia dialogo e confronto. Credo che il “mondo” della musica classica abbia molto da imparare dal rock e dal suo modo di stare al mondo, anche nella comunicazione e nella produzione economica. Anche nel libro affronto questo argomento: la mediazione tra obblighi produttivi e risultato artistico. È una dialettica che, secondo me, il “mondo” della classica dovrebbe acquisire. Allo stesso tempo il rock ha molto da imparare dalla classica: molte delle scoperte e delle innovazioni appartengono – in realtà – alla produzione classica.

Assisteremo mai a una scrittura classica di un brano rock? Qualcosa è già stato fatto…
Non necessariamente nella struttura classica, si può creare con parametri nuovi. Mi ritrovo molto nel percorso del rock progressivo: sono musicisti che hanno una formazione classica ma hanno deciso di suonare uno stile diverso proponendo, di fatto, un legame tra culture. Questo è affascinante. Abbiamo tutto da guadagnare a conoscere meglio il nostro passato per creare un futuro ancora più interessante.

Tra le tante cose di cui si occupa c’è la presentazione delle serate di musica classica su Rai 5.
Si, non ho un programma specifico; presento le dirette dei concerti di musica classica sul canale culturale della Rai. Promuovere la musica sinfonica a un pubblico televisivo non è semplice: cerco più che altro di essere una guida. Cerco di spiegare i trucchi compositivi o com’è strutturata una partitura. Una cosa che mi piacerebbe molto è non confondere divulgazione e didattica. Didattica mira a dare delle nozioni, insegnare qualcosa. Io se faccio l’artista e voglio fare divulgazione ovvero portare alla gente qualcosa, non è detto che devo fare didattica. Penso che la musica possa essere divulgata senza fare didattica.

Questa è una delle considerazioni d’obbligo dopo la lettura del suo libro.
Nel libro non voglio insegnare qualcosa perché non è il mio lavoro. Preferisco essere un divulgatore rispetto a salire in cattedra. Devo fare in modo che la persona che mi segue abbia piacere e si faccia l’esperienza. I protagonisti del mio romanzo sono due personaggi di confine che dimostrano come questi due mondi – la classica e il rock – possono benissimo coesistere. C’è una bellissima frase nel libro: “siamo rami dello stesso albero”. Ci sono molti preconcetti sulla musica rock da parte del mondo della classica: credo che più di tutto paghi il difetto che molta della musica rock non abbia la partitura scritta. Siamo abituati a leggere musica scritta quando si tratta di classica. La musica scritta è quella che resta. È un problema che il mondo del rock dovrebbe porsi. Tra cento anni, a forza di cover, rimarrà qualcosa? Di Mercury, dei Pink Floyd?

Ci sono gli spartiti…
Spartiti che sono molto semplici. Siam tornati all’epoca barocca. La linea del basso, i numeri… Se questa musica vuole durare dovrebbe essere trascritta in un modo canonico o permettere comunque di tornare alla sorgente. Nel libro spiego il legame tra rock progressivo e musica barocca con l’esempio dei New Trolls; Stravinskij fa un altro tipo di lavoro riprendendo la musica barocca agli inizi del Novecento. È la stessa cosa? No, certamente. Tutto questo pero’ si basa sul fatto che c’è qualcosa di scritto e tramandato quindi possibile da reinterpretare. Per fare una cover c’è chi si basa solo sull’orecchio; questo significa che è avvenuto ascoltando una registrazione. Si pensa che la registrazione sia ciò che rimarrà e verrà tramandato.

Magari verrà una tempesta magnetica e si cancellerà ogni registrazione…
O molto più semplicemente le cose invecchiano. Tra cento anni che strumenti avremo? Adesso abbiamo l’elettronica e tra cento anni? Tutto potrebbe essere superato.

Perché Beethoven nel titolo?
È un momento-chiave nella storia della musica e noi, ancora oggi, ne subiamo i contraccolpi. È l’ingresso dell’intimità nell’espressione artistica. Non è scontato per niente scrivere qualcosa che ti rappresenta.

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