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LA CURA DEL PERDONO

lumera

Daniel Lumera è l’autore di un prezioso libro nato da una sua esperienza personale. Oggi si occupa di trasmettere – attraverso corsi e conferenze – la profondità dell’autorealizzazione. di Andrea Thomas

 

“Ho cercato di raccontare nel libro quello che mi è successo negli ultimi dieci anni”, racconta l’autore, “parallelamente ho portato nelle scuole, nelle conferenze e nelle Università il tema del perdono. Questo tema mi ha cambiato la vita: ho dovuto reinterpretare non solo il concetto ma, soprattutto, la modalità del perdono nella vita di tutti i giorni. Raccontare un nuovo senso, una nuova idea, una nuova esperienza: inizialmente pensavo fosse destinato a un piccolo gruppo di persone, magari le più sensibili o quelle con un intenso percorso spirituale. Il perdono è importantissimo per la qualità della vita, della salute e nella scelta consapevole della felicità. Lavorando in Università ho scoperto che esistono più di trecento articoli scientifici che dimostrano l’impatto profondo del perdono nel sistema circolatorio e più in generale nella salute”.

Il suo punto di vista sul perdono è quindi completamente laico?
Totalmente. È un valore universale. Non è legato a nessuna religione. Viaggiando moltissimo ho trovato tracce di perdono in protocolli che hanno più di quattromila anni, nella cultura latina, nella cultura ayurvedica. Noi pensiamo erroneamente che sia qualcosa di esclusivo della religione cristiana.

Nel libro descrive il suo difficile e tormentato percorso prima di approdare al perdono.
Ho avuto una crisi pazzesca nella quale sono svaniti tutti i punti di riferimento: relazioni, vita professionale, vita di coppia, salute… Tutto è crollato. Io avevo un approccio patriarcale sulla vita, ero fissato con la determinazione, la realizzazione, tutti principi maschili. L’emozione era sconosciuta. Il primo step è stato un percorso di perdono rivolto a me stesso. Il perdono per me è l’abilità di trasformare qualsiasi cosa ci succede, positiva o negativa. E di evitare di attaccarci alla sofferenza o al lavoro o a qualsiasi altra cosa. Perdonare è trasformare qualsiasi esperienza in una risorsa. Nei miei corsi la prima cosa che chiedo a tutti è “perché perdonare?”. Mi rispondono quasi sempre “per stare meglio”, “per recuperare una relazione”. Nessuno che mi risponda per donare. Perdonare viene collegato alla colpa, alla condanna, al tradimento. Perdonare, per me, è una strada di autorealizzazione. È la capacità di ascoltarsi, di assumersi l’assoluta responsabilità della propria vita. Dare delle risposte a se stessi, comprendere e accogliere la vita in tutte le sue manifestazioni, anche quelle più dolorose. Quando questa accoglienza è completa si ha una forza incredibile. Ho visto, durante i miei corsi, persone trasformarsi completamente. Il perdono è un balzo, una cura.

Lei tiene corsi e conferenze, come si sviluppa il feedback con le persone che la seguono?
Ho iniziato con i corsi di formazione nel 2008 e in seguito mi hanno chiamato nella Cattedra di Impresa familiare in Spagna e da poco collaboro con l’Università Sapienza di Roma. In Spagna mi chiamarono perché un numero altissimo di manager si stava suicidando per la crisi economica: bisognava inserire dei protocolli per gestire il conflitto e lo stress e abbattere l’identificazione con l’impresa. Ho introdotto degli elementi di consapevolezza e dei percorsi di perdono ottenendo risultati enormi.

Dove nasce questo conflitto nei manager?
Si tratta di una crisi di valori più che economica. Secondo me manca una educazione di consapevolezza. Ci hanno insegnato che la felicità dipende dal nostro guadagno. È l’errore più grande che abbiamo commesso. La felicità dipende della consapevolezza dell’essere. Invece rincorriamo un modello di successo basato sull’apparire. Io rivoluzionavo il concetto di economia: invece dell’accumulare costruire il proprio successo sul donare. Questa decontestualizzazione ha aperto nuove prospettive a molti di questi manager che ho conosciuto. Molti hanno capito che anche la crisi più nera è un momento di crescita. Crescita di valori, di virtù. Bisogna andare al di là di noi stessi. Nel libro spiego il mio punto di vista sulla giustizia e sul terrorismo: vogliamo far cessare l’odio con altro odio? Correggere l’errore con un altro errore? Dobbiamo trovare altre soluzioni. Pensiamo a Nelson Mandela che è stato torturato per moltissimi anni e poi ha iniziato a governare perdonando i suoi torturatori plasmando milioni di coscienze. È l’amore che cambia le cose. Ci vuole un coraggio, inteso come avere cuore, anche solo per promuovere questa soluzione.

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