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IL CRITICO MASCHERATO

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Valerio Massimo Visintin pubblica Cuochi sull’orlo di una crisi di nervi, viaggio in incognito fra tic e manie della ristorazione italiana. di Guido Biondi

 

La professione del critico gastronomico e tra le più delicate: per svolgerla nel migliore dei modi non basta la professionalità e la competenza, e necessario preservare l’indipendenza tra le mille “tagliole” degli uffici stampa. Valerio Massimo Visintin, sul suo blog del Corriere della Sera online appartiene alla “vecchia scuola”, si presenta in incognito nei ristoranti ed esercita il diritto-dovere di essere imparziale e, nel caso, di esprimere una critica, sempre costruttiva. Ma e ormai un lusso nel sottobosco di blogger e malcapitati critici prezzemolati, sempre a caccia della cena “a sbafo”. Lo descrive molto bene nel suo nuovo libro appena pubblicato, Cuochi sull’orlo di una crisi di nervi (Editore Terre di mezzo). Tra i vari capitoli alcuni sono davvero esilaranti: e il caso dell’Expo, la maratona gastronomica di Milano, confusa e pressapochista, nella quale si stigmatizza come il pubblico abbia imparato a stare soprattutto in coda. Il libro ha avuto l’eco di molti quotidiani e di Dagospia, segno che e stato colto lo spirito “controcorrente”. A parte Vittorio Feltri – spesso critico verso i nuovi Chef popstar -, non c’e giornalista in giro con un pizzico di coraggio pronto a sollevare dubbi e criticare, quando serve, comportamenti ed eccessi dei nuovi divi catodici. Abbiamo intervistato il critico “mascherato”.

Nell’introduzione al suo libro parla di una grande scomparsa dalla ristorazione di oggi: la figura dell’oste.
Il libro e una raccolta di articoli prevalentemente pubblicati sul sito del Corriere della Sera oltre che per altre riviste di settore. Il tema degli Chef e quello in voga al momento: stanno invadendo tutti gli spazi della comunicazione e al di la del loro specifico sono diventati delle star a tutto tondo. Sta venendo a mancare la figura fondamentale dell’oste: lo Chef non lo controlla più nessuno… L’oste era il garante del funzionamento commerciale dell’attività.

I suoi articoli sono spesso caustici nei confronti degli Chef “rockstar”: e successo di ricevere la richiesta di attenuare le sue recensioni?
No, non ho mai avuto nessun tipo di pressione, al Corriere non succede. Ma molte testate, regolarmente pongono dei limiti. Preferisco scrivere per un numero ristretto di giornali che mi lasciano carta bianca, in caso contrario preferisco rinunciare.

Invita i lettori a non farsi impressionare dalle guide classiche, perché?
Purtroppo oggi le guide sono degli organi politici, hanno perso la loro missione originaria. Gestiscono un potere distribuendo o togliendo prebende a destra e manca ma se ne fregano del lettore. Ai miei colleghi di settore non gliene importa nulla di chi legge ma solo degli Chef. Le guide non credono più che qualcuno possa comprarle per scegliere un ristorante.

Indro Montanelli scriveva che un giornalista deve avere un unico padrone: il lettore.
Una lezione sacrosanta oggi dimenticata. Non mi viene in mente nessuno che scriva per il lettore. Oggi sono quasi tutti collaboratori esterni e vengono pagati pochissimo. E quindi evidente che un critico non può andare in un ristorante vergine e puro, molto spesso accetta l’invito dell’ufficio stampa e si fa offrire la cena. Succede perfino che i critici si auto-invitino nei ristoranti. E il sistema che non funziona. Se fosse considerato un mestiere serio, il critico verrebbe retribuito con un compenso e una nota spese. Io sono un privilegiato – non so ancora per quanto – perché posso andare in incognito e pagare.

Alla base della sua professione c’e la passione o e stata una scelta casuale occuparsi della gastronomia?
Le vie del giornalismo sono infinite ma sono tutte casuali. Il fatto che mi occupi di ristoranti e anche dovuto al mio background familiare: i miei genitori uscivano a cena tutte le sere e spesso mi portavano con loro. E mio padre scriveva qualche articolo sui giornali di settore. Quindi in qualche modo ho respirato quest’aria anche se poi ho scritto sulla Gazzetta dello sport e su altri giornali occupandomi di storia delle citta. Faccio con passione il mio lavoro e mi diverto.

Tra i suoi colleghi c’e qualcuno che stima?
Per non fare torto a nessuno ne cito uno solo: Edoardo Raspelli. Lo considero un po’ l’inventore di questa professione; oggi ha allargato i suoi orizzonti professionali e si occupa anche di altro. Inoltre scrive benissimo e ha iniziato lui l’idea del critico in incognito: certamente m’ispiro a lui. Purtroppo non ha fatto molti proseliti. Mi cascano le braccia quando vedo come i miei “colleghi” svolgono questo lavoro. Il critico dovrebbe avere l’occhio vigile e fungere da controllo per il lettore ed invece l’indipendenza e una chimera: tanto vale lavorare in un ufficio stampa… Se non facciamo il nostro dovere non serviamo a nulla.

In pubblico si presenta sempre mascherato, potrebbe diventare un format televisivo…
In effetti ci stiamo proprio lavorando a un format, non e da escludere che possa vedere la luce. Dico sempre che bisogna fare questo mestiere con grande serietà senza prendersi troppo sul serio. L’abbigliamento mascherato e un atteggiamento goliardico.

Itaeventi ha intervistato molti Chef stellati, in particolare Cannavacciuolo. Ne salva qualcuno?
Lavorando in “copertura” vedo soprattutto le loro uscite televisive che spesso sono ridicole. Non conosco personalmente lo Chef ma lo rispetto anche se lo trovo un po’ naif. Un cuoco tutto sommato e un artigiano, per quanto possa essere abile e geniale, quando assurge a un certo livello di divismo rischia di deragliare dai binari.

Tornando alla figura dell’oste, Stefania Moroni, figlia di Aimo e Nadia, cerca di portare avanti il lavoro dei suoi genitori facendo da trait d’union tra sala e cucina, portata avanti da due giovani e ottimi Chef. E un esempio calzante della sua descrizione?
Si, penso proprio di si. Il luogo di Aimo e Nadia e uno dei miei ristoranti preferiti. Hanno conservato una dimensione realistica. L’oste ha responsabilità e controlla, come spiego nel libro. Uno Chef chi lo controlla? Ad esempio da Cracco sono andato tre volte. Anche se lui forse oggi non e più molto presente, ho avuto la sensazione – posso anche sbagliarmi – che il clima “umano” e un po’ terremotato tra le file dei suoi dipendenti e questo non va bene perché poi si riflette sui clienti.

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