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FABRIZIO MORO: CANTO E SUONO CERCANDO LA PACE

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Dal palcoscenico di Sanremo al palcoscenico dei live. Fabrizio Moro farà tre concerti anteprima in attesa del suo tour in partenza questa estate. E dopo il festival e l’esperienza televisiva di Amici, il cantautore romano non vede l’ora di ritrovarsi davanti al suo pubblico. di Cristiana Zappoli

 

Tutti gli artisti, quelli veri almeno, hanno una sensibilità particolare. Indipendentemente da quale sia il loro talento, è quella sensibilità che trasforma il talento in arte. Non serve conoscerlo a fondo per capire che Fabrizio Moro con quella sensibilità ci è nato, e fin da subito ha sentito l’urgenza di esprimerla scrivendo: «ho sempre scritto tantissimo, – racconta – è appena uscito l’album e io sto già pensando all’album successivo. Ho iniziato a scrivere quando andavo alle elementari. Ero un bambino abbastanza chiuso, non facevo amicizia facilmente, ero un po’ diffidente e quindi avevo un diario su cui scrivevo tutti i miei pensieri; immaginavo e scrivevo. Poi il diario si è trasformato nei testi delle canzoni. Sono stato fortunato perché ho trovato lamia strada fin da piccolo». I suoi testi sono espressione di un’anima inquieta, un’anima, per dirla con le parole del brano che dà il nome al suo ultimo album, Pace, che cerca solo il modo di trovare la pace che non ha.  Quest’anno ha partecipato al Festival di Sanremo con la canzone Portami via, piazzandosi al settimo posto e, soprattutto, raggiungendo il disco di platino (unico brano ad aver raggiunto questo risultato insieme a quello di Francesco Gabbani e Michele Bravi). «Se quest’anno ho vissuto la vita del backstage con molta più serenità rispetto al solito, – racconta Moro – sul palco, invece, ho provato un’ansia che mai avevo provato prima. Forse perché più passa il tempo più le responsabilità aumentano, invece di sentirmi più leggero mi sento addosso molta più pressione, probabilmente perché sono abbastanza rigido con me stesso e quest’anno mi aspettavo delle conferme importanti che poi sono arrivate. Ho vissuto Sanremo come un banco di prova fondamentale. Su questo disco ho lavorato molto: due anni intensi di pre-produzione. In studio ho lavorato con la band con cui lavoro ormai da 15 anni e abbiamo fatto una selezione importante dei brani, all’inizio erano circa 50 pezzi, poi sono passati a 20 e poi a 11».

Il Festival di Sanremo nella sua vita professionale è stato molto importante. Ha segnato tappe fondamentali della sua carriera. Cosa pensa del Festival?
L’importanza del Festival dipende sempre dal momento della carriera che un artista sta vivendo. Ci sono momenti in cui offre proprio i riflettori di cui si ha bisogno, come è stato per esempio per me nel 2007, quando non riuscivo neppure a chiudere un contratto con una casa discografica indipendente. Ero completamente solo e Pippo Baudo mi ha portato al Festival da indipendente vero e così sono riuscito a cambiare la mia vita. E quest’anno è stato un riflettore importate su un lavoro a cui lavoravo da due anni. Io non l’ho mai vissuto come una gara, Sanremo per me è la vetrina più importante che abbiamo in Italia.

Lei è da sempre un cantautore ma da qualche anno si è scoperto anche autore. Come si trova in questa veste?
È una strada parallela che ho “inventato” un po’ per caso in un momento in cui, era il 2011, non riuscivo a trovare un compromesso con le multinazionali. Ho conosciuto Noemi che ha ascoltato Sono solo parole e da lì è nata la mia carriera di autore. Poi ho fondato un’etichetta editoriale discografica e con i proventi di quei brani mi sono prodotto i miei dischi e i miei tour fino all’anno scorso. È divertente scrivere per gli  altri anche perché ti permette di dedicarti solo alla parte più interessante, più bella di questo mestiere. Io non amo molto i riflettori, attraverso il percorso da cantautore indipendente che ho fatto in questi anni ho incontrato delle difficoltà notevoli. Fare cl’autore mi ha aiutato a essere libero, mi ha permesso di non sottostare ai compromessi delle multinazionali. Poi negli anni sono riuscito a creare dei confini solidi intorno al mio progetto e oggi, avendo un contratto con Sony, ho garanzie che prima non potevo permettermi.

Di cosa ha paura?
La mia paura più grande è quella di ammalarmi, sono un ipocondriaco cronico. Ho un bruttissimo rapporto con la malattia, a tutti i livelli, e anche con la morte, sono ossessionato da questo pensiero. Fortunatamente non mi ammalo quasi mai. Sono una persona molto attiva, faccio tante cose, ho sempre adrenalina in circolo, è per questo che difficilmente mi ammalo.

Ha fatto parte del corpo insegnanti della trasmissione televisiva Amici. Che esperienza è stata?
Un’esperienza che mi ha aiutato ad aprirmi molto di più rispetto a prima, adesso sono molto più estroverso. Mettere la mia storia e le mie esperienze a disposizione di ragazzi così più giovani di me mi ha molto gratificato. Dal punto di vista umano è stato terapeutico perché in quel contesto, con il ruolo che avevo, mi dovevo aprire per forza, non potevo certo “fare scenamuta”. È un ambiente a cui non ero abituato, è stata un po’ una sfida e devo dire che ha avuto dei risvolti per la maggior parte positivi.

Lei è quindi favorevole ai talent televisivi?
Il talent oggi è una possibilità, come era una possibilità per me l’Accademia di Sanremo vent’anni fa. Il problema, quando c’è, è successivo al talent. Un ragazzo che fa tanti mesi di televisione e inizia la sua carriera da lì poi ha bisogno di essere gestito in un certo modo. Non si può catapultarlo in contesti in cui servono spalle larghe che lui ancora non ha. Il talent deve essere gestito con i piedi di piombo perché il problema non è quello che succede lì dentro ma quello che succede fuori. Se inseriamo il talent all’interno di una gavetta, allora va tutto bene. Se consideriamo il talent un punto di arrivo, allora non va bene. È pericoloso. Quando un ragazzo esce da lì si ritrova in una realtà completamente diversa da quella che ha vissuto fino a quel momento. Basta pensare al mio di percorso: quest’anno è il primo tour importante della mia vita, il primo in cui sto ottenendo numeri paganti di un certo livello. Prima di arrivare a questo punto ho fatto vent’anni di live nelle feste di paese ed è un passaggio che va fatto. Durante il percorso si soffre, è normale, ma soffrendo si cresce e le spalle si allargano. Appena finisce il talent molti ragazzi non hanno la possibilità di fare questo percorso ma la colpa è dei management non dei talent.

Cosa dobbiamo aspettarci dal Pace live tour 2017 in partenza a giugno che sarà anticipato da tre date tra aprile e maggio?
Canterò tutto l’album nuovo che è stato scritto già pensando al live, perché ogni volta che scrivo un disco penso già a come sarà eseguirlo dal vivo. E poi anche tutte le canzoni che hanno accompagnato il mio percorso dal 2007 a oggi. Ogni concerto durerà 2 ore e mezza. Ci sarà tanta tanta musica, non ci saranno tanti effetti speciali perché non li amo.

Quanto contano i live nel complesso del suo lavoro?
È l’unica cosa che non mi fa abbandonare questo percorso. Io non ho mai vissuto con leggerezza e spontaneità il rapporto con i media. Preferisco suonare, se oggi potessi permettermi di non fare più televisione e di non fare più radio, lo farei tranquillamente. Scriverei e suonerei. Però ci sono compromessi che fanno parte di questo mestiere. I live per me sono la parte più importante del mio lavoro, sono felice di tornare sul palco, in mezzo alla gente. Avrò la possibilità di sentire le mie nuove canzoni cantate dal pubblico e ne sono contentissimo. Se non mi mancasse così tanto il palco scriverei soltanto canzoni per gli altri.

Che rapporto ha con i suoi fan?
Ho un rapporto molto viscerale, infatti ogni tanto sono un po’ in difficoltà perché loro giudicano nel bene e nel male ogni cosa che faccio, ogni pensiero, è un pubblico molto “radicale” nel senso positivo del termine. Li rispetto tantissimo, e cerco di dare sempre di più per loro. Le due ore e mezza di concerto, che potrebbero anche diventare tre, sono tutte per loro perché mi permettono di vivere il mio sogno e di fare il lavoro che mi piace, e questo non ha prezzo.

Tra le sue passioni c’è il cinema. Cosa pensa del cinema italiano?
Credo che sia in netta ripresa, io sono molto fiero del nostro cinema adesso. Abbiamo ottimi registi e ottimi attori: Kim Rossi Stuart e Luca Marinelli sono i più bravi secondo me. Mi piacerebbe lavorare in un progetto cinematografico, ovviamente dal punto di vista musicale. Sono solo parole era stata scritta per un film di Beppe Fiorello, poi non se ne fece niente. Dopo la musica credo che il cinema sia la mia più grande passione.

 

NON SOLO CANTAUTORE

Oltre a scrivere canzoni Fabrizio Moro ha due romanzi “nel cassetto” che molto probabilmente l’anno prossimo pubblicherà: “uno è pronto, – spiega – l’altro devo ancora finirlo”. Sarebbe facile pensare a un’autobiografia o a storie riguardanti la sua carriera, ma non è così: “i miei romanzi non hanno niente a che vedere con me o con la mia carriera musicale: non sopporto quelli che raccontano la propria vita in un libro; le biografie, al massimo, devono uscire postume”.

 

IL DISCO
Pace è stato pubblicato il 10 marzo del 2017 e comprende il brano che Moro ha presentato a Sanremo, Portami via, che ha ricevuto la “Menzione Premio Lunezia per Sanremo” come miglior testo in gara nella sezione Campioni. L’album era stato anticipato lo scorso anno dal singolo Sono anni che ti aspetto, che ha preceduto il lavoro completo in studio.

 

CONCERTI

  • 20/04 Fabrique, Milano
  • 26-27/05 PalaLottomatica, Roma
  • 30/06 Teatro D’Annunzio, Pescara
  • 21/07 Next Festival, Torino
  • 28/07 Anfiteatro di Ponente, Molfetta (BA)
  • 19/08 Anfiteatro, Zafferana Etnea (CT)
  • 20/08 Teatro dei Ruderi, Cirella Diamante (CS)
  • 3/09 Teatro Romano, Verona
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