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SARA TARDELLI RACCONTA MARCO TARDELLI

tardelli

L’urlo dopo il gol e il telecronista che grida “Campioni del mondo!”. Sara, autrice e scrittrice, ha pubblicato Tutto o niente, La mia storia. È il racconto, senza filtri, della vita del calciatore, allenatore, uomo Tardelli. di Guido Biondi

 

Dalla lettura del libro si evince che e stata lei a “mettere in moto” la realizzazione del libro sulla storia di suo padre.
Mio padre stava per fare il libro con Gigi Garanzini qualche anno fa, un grande giornalista e suo personale amico. Poi e successo che ho avuto questa idea e sono stata determinata a portarla fino in fondo.

Ci racconta la genersi del libro? Come si e svolta la raccolta di aneddoti?
Io mi sono emozionata dalla prima all’ultima parola. In primo luogo perché sono molto emotiva e ho scelto di fare questo lavoro veramente per passione. Raccontare una storia e ciò che mi riempie di più di stupore. In secondo luogo perché questo e il primo libro che scrivo ed e stata una grande novità. Essendo io autrice, posso fare articoli o preparare documenti o un copioni per la radio (ha lavorato con Giovanni Minoli a Radio24, ndr) ma nulla e paragonabile alla realizzazione di un libro. A dir la verità non sapevo da che parte cominciare con mio padre, sicuramente ho iniziato con i suoi racconti. Da figlia sapevo già le fasi della sua vita, argomenti da contestualizzare. Ho scelto di evitare l’ordine cronologico, un po’ per permettere a mio padre di aprirsi di più, in ordine sparso. In questo modo ha cominciato a parlare di argomenti con i quali aveva più serenità a parlare anche se poi ci siamo imbattuti in alcuni punti sui quali era piuttosto restio ad approfondire. Ad esempio le vicende sentimentali sono state affrontate per ultime. Abbiamo parlato a lungo, per una quantità di ore enorme. Solo quando ho iniziato ad ascoltare le registrazioni ho deciso quella che poi e diventata la “scaletta” del libro.

Ha scelto di essere “professionale” o ci sono stati momenti nei quali ha “pesato” il rapporto padre-figlia?
La disciplina professionale non l’ho mai abbandonata. Sono convinta che senza il mio background di lavoro non avrei mai potuto affrontare questo impegno solo come figlia, nemmeno se fossi stata un’amica. La professionalità mi ha permesso di “affondare la penna nella carne”. Devi andare oltre le paure e le reticenze di chi stai intervistando. Inoltre c’e una caratteristica della mia personalità: ho sempre avuto paura di non conoscere a fondo le persone vicine a me. Quindi questo e stato un ottimo esercizio per approfondire. Sono convinta che bisogna chiedere alle persone importanti per noi una serie di cose per avere poi dei ricordi nel corso del tempo. Credo, infine, che questo libro ha avuto uno ruolo positivo nel rapporto tra padre e figlia: lui gia si fidava di me ma questa fiducia adesso e aumentata esponenzialmente. Ha capito che faceva bene a fidarsi di me e ha compreso che esistono molti livelli di fiducia.

Ci sono stati sicuramente anche momenti imbarazzanti.
Imbarazzanti, teneri, profondi e anche molti scontri poiché avevo la liberta di “non mediare. Quando mio padre provava a fare “il santino” ribattevo che no, non era quello che conoscevo (ride, ndr). Non a tutti viene naturale e semplice raccontare anche i propri errori o i propri scivoloni o anche ammettere semplicemente che in un dato periodo della vita “si era montato la testa”. Figurarci raccontare un tradimento! Anche se erano cose che già sapevo, un conto e appunto saperle un conto e spiegarle. Credo, pertanto, che mio padre abbia fatto uno sforzo enorme. Soprattutto di fiducia nei miei confronti, per essersi cosi aperto. E pur sempre un salto nel vuoto: non sai mai se la persona che hai davanti sarà capace di conservare con sensibilità le tue cose o se non le userà contro di te. E, aggiungerei, riuscire a rendere queste cose avvolgenti, comprensibili a tutti non e semplice. Scrivere il senso vero delle cose che ti hanno spiegato e sempre un rischio.

E stata aderente al racconto, par di capire
Cercando poi di interpretare il tutto: so bene – ad esempio – cosa significa per mio padre indossare una maglia della nazionale di calcio. Non c’e nulla di edulcorato nel libro, ci sono tutte le verità di mio padre.

Ha avuto la tentazione di inserire il suo punto di vista, la sua versione dei fatti?
Mai avuto questa tentazione. Anche nelle mie note personali ho deciso di raccontare me stessa ma per far capire qualcosa in piu su mio padre o sulla Juventus. E tutto funzionale a raccontare la sua carriera, non penso che alle persone interessi più di tanto la mia.

Cio che rende speciale il libro e la scelta di raccontare a una figlia. Non deve essere facile convivere con un personaggio celebre, sia calciatore o artista.
Mio padre e un tipo piuttosto elettrico quindi più dei down e stato casomai il surplus di elettricità da gestire. Le tensioni, il suo essere completamente immerso nel suo lavoro per dare il massimo. Paradossalmente sono le stesse cose che oggi rinfaccia a me. Se andiamo a vedere i grandi, i più bravi, quelli che hanno raccolto il successo, ed entri nella loro vita privata e quotidiana, scopri quanto tempo dedicano al loro lavoro.

Come si gestisce un padre quando esce da una storia vincente e si riposiziona in altri incarichi, cambiando velocita nella vita? Come si vivono questi eccessi di popolarità di un personaggio famoso?
Quello che io ho elaborato – ognuno di noi ha un modo personale – e una grande attenzione a non lasciarsi abbagliare dal successo, inteso come visibilità e popolarità non e nulla. E un’illusione pericolosissima. Se ti affezioni solo a quello, quando poi finisce, non resta niente. Significa che non hai costruito nulla per te. Quando ero piccola e mio padre e tornato dopo aver vinto i Mondiali di calcio avevo capito che era successo qualcosa di grande: improvvisamente eravamo assediati dall’entusiasmo e l’amore dei tifosi. Anche in quel contesto mio padre ha sempre cercato di non portare mai questa situazione dentro casa. I genitori di mio padre erano contenti che aveva scelto un mestiere ma l’hanno sempre trattato esattamente come gli altri fratelli. Non c’e mai stata idolatria. Solo grande spontaneità e semplicità. Mio padre mi ha sempre insegnato il rispetto di se stessi e degli altri e, soprattutto, mi ha sempre detto che ogni mattina bisogna guardarci allo specchio e riconoscersi sempre. Mai tradire se stessi. Non e andata altrettanto bene a tanti figli di genitori di successo che magari avevano commesso grandi errori col risultato di aver passato ai figli i fardelli. Mio padre e uno che non si e mai lasciato andare, si e sempre rimesso in carreggiata, ha sempre trovato una scintilla che lo riaccendesse. E mi auguro di aver ereditato questo aspetto del suo carattere.

Ha mai avuto la sensazione che la popolarità e il successo di suo padre lo allontanavano da lei?
Si. Certe volte mi arrabbiavo. E succede ancora. Magari siamo insieme e io ho particolarmente fretta e lui si mette a parlare con dodici persone e vorrei strozzare tutti. Pero lui fa bene a fermarsi con tutti e a farmi capire che ci sono delle responsabilità anche verso delle aspettative che gli altri nutrono nei tuoi confronti. Da bambina non sopportavo i ritiri della squadra: mi veniva una malinconia pazzesca.

Ora che il libro e uscito le chiedo: le sembra di aver capito suo padre?
L’ho capito sin troppo bene mio padre, anche prima di scrivere il libro. Non e mai stato ipocrita con me, nel male e nel bene e sempre stato se stesso. Mi ha spronato ad essere autonoma, a impegnarmi, ad essere meno sognatrice e più ancorata alla realtà. Questo mi ha portato ad avere meno aspettative immaginarie e più concrete anche riguardo al rapporto uomo/donna. Come figlia sono lontana dai cliche tipici delle donne del nostro tempo secondo le quali gli uomini sono quelli che sbagliano e che tradiscono… Non e vero.

 

ESTRATTO DAL LIBRO “TUTTO O NIENTE” (Mondadori Editore)
Il mio urlo e durato 7 secondi. Il mio amico Gaetano Scireami ha passato la palla in area e l’ho colpita in scivolata. Rete. Italia 2, Germania 0. Il boato di 90 mila persone e io. Ho fatto la cosa che amavo di piu: ho corso. Ero inondato dai ricordi, dal senso di riscatto, dall’adrenalina. Quei 175 fotogrammi mi hanno regalato un posto nella storia del calcio. E quell’urlo e stato una scossa elettrica che ha cancellato la mia vita. Non c’e stato più un prima e non c’e un dopo. Tutti mi ricordano per quei 7 secondi, un attimo di estasi racchiuso in un gesto irripetibile. Non avrei potuto immaginare, quella notte a Madrid, che qualche tempo dopo sarei quasi arrivato a odiare quel momento. Cosa potra esserci di piu bello, di piu mistico di quei 7 secondi? Mi domandavo. Saro all’altezza di quella notte? Da allora, per molto tempo sono stato ostaggio di quell’urlo. Ero giovane, volevo vivere il presente, immaginare il mio futuro, e invece il passato mi tirava continuamente per la giacca. La mia carriera, i miei sacrifici e la mia storia sono spariti dentro quell’urlo. Oggi posso dire che quell’urlo e stato la cosa piu bella che ho fatto, dopo i miei figli Sara e Nicola. Posso assicurare che gli urli che mio padre ha dedicato a me e mio fratello sono molto più clamorosi di quello al Bernabeu. L’11 luglio 1982, mentre 36 milioni e 700 mila italiani guardavano la partita, dormivo. Ma quell’urlo è rimasto impigliato anche nelle trame della mia vita. Fare il calciatore ai massimi livelli, come ha fatto mio padre, costringe anche la sua famiglia a misurarsi con il successo e con i sacrifici necessari per raggiungerlo. Per esempio, quando sono nata, mio padre non c’era, il che si concilia maluccio con l’idea romantica del padre che una primogenita accarezza già nei suoi sogni embrionali. E comunque, tutte le persone che lo amano davvero devono rassegnarsi a questa sua passione travolgente per il pallone, con la consapevolezza di chi sa che, se è impossibile competere con un grande amore, è possibile invece diventarne complici.

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