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PAOLO CREPET BACIAMI SENZA RETE. Buone ragioni per sottrarsi alla seduzione digitale (Mondadori Editore)

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Paolo Crepet è psichiatra e sociologo. Dal 2004 è direttore scientifico della Scuola per genitori. Tra i suoi numerosi libri ricordiamo: Solitudini. Memorie d’assenza, Non siamo capaci di ascoltarli, Sull’amore, Sfamiglia e Il caso della donna che smise di mangiare. Questo è un estratto dal suo nuovo libro per Mondadori.

 

PSICOLOGIA DEBOLE E TECNOLOGIE DIGITALI
Un aspetto curioso collegato alla crescita e alla diffusione globale dei social network riguarda alcuni tratti della personalità di chi li utilizza continuativamente. Un tempo c’era la lettera anonima, poi c’è stata la telefonata anonima, ora c’è la mail anonima. Ognuno sa che oggi può insultare, minacciare, screditare chiunque altro senza correre grossi rischi, nemmeno dal punto di vista giuridico. È pur vero che esiste la polizia postale, che ci sono metodi per eliminare i facinorosi più volgari e offensivi (da Facebook o da WhatsApp, per esempio, si può “bannare” il molestatore), però non vi è dubbio che la rete abbia dato un’insperata nuova vita a una delle personalità più detestabili dell’umanità: il subdolo, il vile, colui/colei che vive nell’ambiguità e che detesta fierezza, trasparenza e onestà. Perlopiù si tratta di persone che hanno poca fiducia in se stesse, che non si stimano, che soffrono di palesi frustrazioni e sensi d’inferiorità, che temono ogni confronto corretto e leale, e che, quindi, preferiscono rimanere nell’ombra, agire in modo infido. E la rete offre a costoro una platea grandiosa. Chiunque – il signor/la signora Nessuno – può offendere persone che hanno una certa visibilità, esattamente come può ferire un ex amante, un collega o un compagno di classe che non sopporta. Difficile prevenire l’ingiuria, complicato  rimediarvi quando la si è ricevuta, perché, anche se qualcuno prova a intervenire (polizia postale, avvocati, persuasori), il danno mediatico è già avvenuto e sarà molto difficile che possa essere cancellato: e questo esalta il sadismo di molti. Ciò riguarda, ahimè, anche la stampa che da qualche anno può diffondere notizie false, o solo parzialmente vere, non più soltanto attraverso canali d’informazione relativamente potenti (giornali cartacei, televisione, radio), ma tramite il mezzo potenzialmente più devastante: la rete. Se un giornale online diffonde una notizia errata su una persona o su un evento, anche quando la persona si sarà difesa o l’evento avrà avuto una legittima spiegazione, quella notizia rischierà di rimanere online per anni, a meno che gli interessati non provvedano, attivando macchinose e dispendiose revisioni. La rete, in quanto tale, ha il potere di offendere con grande rapidità ed efficacia, ma non quello di riparare all’offesa con egual celerità. E questo rappresenta una prelibatezza per le personalità più sadiche. Un altro tipo di personalità che trova nei social network il suo habitat naturale è l’ossessivo (con la variante dell’ossessivo compulsivo). Mi riferisco, per esempio, agli stalker, i quali, attraverso i social network, hanno trovato armi ancora più affilate per perpetrare i loro abusi. Nella personalità, assai complessa, del persecutore (o della persecutrice) l’elemento ossessivo è centrale. La vittima, infatti, diventa nella mente dello stalker un punto fermo e irrinunciabile: tutto ruota attorno a lei, è il primo pensiero quando si alza e l’ultimo quando va a dormire (se va a dormire, in quanto l’orario preferito per il persecutore è, solitamente, proprio la notte). Il poter usufruire di diverse tipologie di social network ha permesso all’ossessivo/ stalker di perseguitare la propria vittima nei modi più efficaci e letali: egli non utilizza più solo il telefono e nemmeno i messaggi intimidatori/ricattatori, ma anche l’opportunità offerta da WhatsApp di tormentare con audiomessaggi e da Instagram di inviare fotografie o filmati. Per gli ossessivi e i persecutori le possibilità sono sempre più a portata di mano e aiutano a eccitare le loro menti perverse. Un ulteriore aspetto comportamentale su cui richiamare l’attenzione riguarda la personalità “verbalmente incontinente”, ossia il “troll”. Il termine deriva dalla figura di una creatura umanoide presente in certe fiabe nordeuropee: si tratta di orchi, di orribili giganti dal comportamento ruvido, rozzo, inquietante. Nella cultura di Internet, il troll rappresenta colui che frequenta la rete con lo scopo di far circolare messaggi provocatori, aggressivi, fuori tema, irritanti, che spesso hanno l’obiettivo di disinformare, di offendere, di creare inutili polemiche. Insomma, il troll è il fungo malnato dei social network. Per incontrare un troll basta viaggiare nella rete: dove c’è una chat o un focus group di qualsiasi genere e argomento, lì si annida l’orco telematico. Probabilmente, solo da quando esistono i social network riusciamo a renderci conto di quanta frustrazione e di quanta solitudine c’è tra la gente, e Internet si conferma uno strumento prezioso per studiare il comportamento umano. Il boom economico ha continuato per almeno tre decenni a diffondere un benessere impensabile fino a pochi anni prima. Ciò ha contribuito, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, a rendere le persone più fragili, non più forti. L’aspetto cruciale è rappresentato infatti dalle aspettative. Se una persona non si aspetta molto dalla situazione in cui vive, sa che deve trovare dentro di sé le energie e le risorse per agire e per migliorare la propria posizione sociale: è ciò che hanno dovuto fare le generazioni che hanno preceduto la mia. Gente che ha affrontato le distruzioni delle guerre, epidemie, scarsità di beni materiali: molti non ce l’hanno fatta a non soccombere, però una buona percentuale di loro non solo c’è riuscita, ma è addirittura stata capace di contribuire allo straordinario cambiamento di scenario sociale ed economico degli ultimi decenni. Larga parte delle generazioni successive ha vissuto quelle conquiste come definitive e ha sviluppato aspettative esorbitanti: prima fra tutte l’improbabilità di tornare alla situazione delle generazioni preboom. La crisi che ha colpito l’economia mondiale dal 2007-2008 ha per la prima volta messo in discussione quelle certezze, deludendo drasticamente le aspettative di chi si riteneva al riparo da eventi esterni. Da questo inaspettato attacco alla personale sicurezza economica nasce un profondo senso di frustrazione che, non trovando spazio né conforto nelle tradizionali ideologie, cerca nuovi spazi di espressione e rappresentazione. I social network, offrendo in modo (quasi) gratuito i loro servizi, concedono l’illusione che ogni critica e ogni sfogo possano liberarsi dall’angustia delle singole vite per giungere all’universalità (quella promessa dalle tecnologie digitali): questo è il pane quotidiano di cui si cibano i troll, persone capaci solo di lamentarsi, di esprimere un malcontento che non giunge ad alcuna proposta fattiva, che non può concepire alcun progetto di reale cambiamento, ma solo il piacere di uno sfogo fine a se stesso. I social network corrono dunque il rischio di prendere il posto del vecchio Bar dello Sport o delle osterie della mia gioventù, con una differenza: un tempo chi imprecava o offendeva era visibile in carne e ossa, mentre oggi il troll, il provocatore professionista della rete, è mimetizzato nella nuvola digitale, segnalato soltanto da un nickname. A questa gente non interessa avere ragione e nemmeno argomentare i propri attacchi mediatici: la costruzione e la saldezza della loro identità è direttamente correlata alla dimensione del danno che producono.

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