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ESILARANTE, CON GARBO

privitera

Diario di una moglie insonne è l’esordio letterario di Paola Privitera. Ironica e autoironica l’autrice descrive con grande spirito d’osservazione tic e manie di una classica famiglia italiana. di Guido Biondi

 

Le vie della creatività sono infinite. E proprio per questo c’è da augurarsi che l’autrice del libro non commetta l’errore di curarsi l’insonnia. Un disturbo comune a molte migliaia di italiani eppure per Paola Privitera è una sfida quotidiana per trascrivere su carta pensieri, immagini e sensazioni realmente vissute perché “a voce faccio una grande fatica, mi mangio le parole, parlo troppo in fretta mentre quando scrivo riesco a organizzare i pensieri ordinatamente”. Molte donne – e molti mariti – si riconosceranno nel romanzo, ma non si tratta di Desperate Housewives: è il seme dell’autodeterminazione di una moglie alla prese con la quotidianità e la gestione multitasking di lavoro, figli, relazioni personali e routine. Quasi un manuale di sopravvivenza, con un grandissimo senso dell’ironia e una disarmante sincerità che non è mai ingenuità ma volontà di essere se stessi. Con una serie di descrizioni veramente esilaranti senza mai cadere nella banalità: si ride spesso e di gusto, riconoscendosi nelle avventure di Paola e del suo “habitat”. Enfatizzare situazioni grottesche o paradossali e trasformarle in strumenti di analisi: potrebbe essere questa la cifra stilistica dell’autrice. Provate a leggere il capitolo dedicato all’appuntamento dal parrucchiere e la descrizione – tra le righe – della sua evoluzione attraverso il database di ogni cliente: “aprono la schermata sul pc dove ci sono notizie che non so nemmeno su me stessa”. Veniamo a conoscenza anche dell’abitudine del marito di usare verdure surgelate come borsa del ghiaccio, con la moglie che pensa alla volontà di iniziare un gioco erotico. Un contrasto tra l’insonne e un narcolettico è già fioriera di gag; anche nel capitolo dedicato agli ex fidanzati si ride senza sosta: “seimila euro di multe: bisogna che già dagli anni del triciclo si cominci a parcheggiare in terza fila per arrivare a una cifra simile”. Infine la gelosia per il marito, magistralmente raccontata con il pretesto di una caccia alle zanzare sino alla chiosa esilarante: “in perlustrazione alla ricerca disonesta di detriti storici delle sue ex fidanzate”. Per Paola “scrivere qualcosa della propria vita equivale a salvarlo” e si capisce dall’urgenza con la quale prova, riuscendoci, a comunicare se stessa. Ed è pure controcorrente, scegliendo l’elogio del matrimonio: “sapevamo già perfettamente chi stavamo sposando, nei minimi particolari”.

Ci racconta la genesi del suo libro?
Io scrivo da sempre, soprattutto di notte. Di notte mi vengono in mente delle idee e dei dettagli che non ho durante il giorno; chiamiamola creatività. Ho avuto anche un periodo nel quale sono ricorsa a dei farmaci finché ho accettato serenamente che mi bastano solo poche ore di sonno. Non ho mai scritto pensando di far uscire questo libro, è semplicemente accaduto. Scrivere è un modo per passare le ore, per far passare le ansie, per fare chiarezza. Quando ho conosciuto mio marito succedeva che si svegliasse di notte e mi vedesse scrivere: pensava avessi l’amante oppure che scrivessi il testamento. Dopo qualche tempo, appurato che non ero una depressa ha iniziato a leggere alcune pagine del mio diario e le ha trovate divertenti, tanto da spronarmi a pubblicare questo libro. Scrivere fa parte della mia vita, del mio Dna; non potrei mai farne a meno. Nasce anche da una paranoia: da quando ho due figli scrivo nel terrore di non riuscire a raccontare di me, della loro mamma e di loro, di come crescono giorno dopo giorno, del loro linguaggio fatto di frasi originali e di magnifico stupore. La mamma è una memoria storica.

Dei suoi figli parla raramente nel romanzo. Una sorta di pudore?
Sono appena nominati. Forse perché per una questione anagrafica i caratteri dei miei figli stanno emergendo solo da poco. Inoltre quando ho scritto il libro avevo solo un figlio, la seconda è arrivata durante la scrittura. Di sicuro con loro è aumentata la mia già abbondante ansia.

Ansia apparente, emerge una grande padronanza. Forse è solamente volontà eccessiva di controllare ogni evento?
Riesco a fare mille cose contemporaneamente e credo anche di farle bene; è la mia percezione di me stessa che vacilla e mi rende paranoica. Scherzando su tutto quello che mi succede sembro una persona molto sicura anche se in realtà non è così. In ogni caso sono la prima a prendersi in giro!

Nel capitolo dedicato agli ex fidanzati viene descritto un maniaco dell’ordine intento a consumare un blister di supposte per non lasciarlo a metà: comicità allo stato puro.
La vita è comicità, non c’è bisogno di avere grande fantasia, siamo tutti ridicoli. Ma nell’accezione positiva del termine. Raccontare le cose buffe che accadono alle persone non è una volontà di prenderle in giro. Riuscire a far sorridere è un dono, anche quando capita involontariamente.

Racconta con disarmante sincerità che controlla il telefono del marito.
Parliamoci chiaro: tutti abbiamo controllato il cellulare del partner. Io lo faccio e lo confesso con onestà. Ho amiche che mi contestano l’abuso di privacy: la verità è che io lo faccio e lo racconto, questa è la differenza. Sono senza filtri. Mi piacerebbe che il lettore ritrovasse una parte di sé nel racconto, anche nelle cose inconfessabili.

Nel libro emerge un bisogno continuo di essere rassicurata, arriva a definirsi una “figlia adottiva”.
Vivo da sempre l’abbandono. La cosa assurda è che non è riconducibile alle figure dei miei genitori: sono sempre stata “riempita” d’amore, stimata, coccolata. È un mio deficit.

A parte l’elogio dichiarato del matrimonio si evince di un profondo sostentamento e una totale accettazione dell’altro.
Sono consapevole che non è facile stare con me. Credo fermamente nell’anima gemella, ci vuole una botta di culo nella vita ma esiste davvero e io l’ho trovata. Siamo due opposti: lui parla poco e solamente se deve; è sobrio nei comportamenti. Per mio marito i miei tic sono normali, un altro mi avrebbe già strozzata. Vale anche all’incontrario; ci siamo proprio trovati.

Ultima curiosità: nel libro non accenna mai al suo lavoro di hostess, sicuramente un serbatoio di tic e situazioni interessanti da raccontare. Forse sta pensando a un secondo libro?
È vero, non parlo mai del mio lavoro, ne ho un rispetto assoluto anche se sono consapevole che è un palcoscenico enorme e offre tantissimi spunti. Ad esempio vedo molte persone con la paura di volare e talvolta ci sono situazioni assurde e persino divertenti; eppure mi sembrerebbe di violare qualcosa di intimo e privato, non è nelle mie corde. È anche carattere: prendo il lavoro con tale serietà che è come se infilassi uno scafandro.

Potrebbe essere un ausilio per chi viaggia con l’ansia, un prontuario in forma romanzo per superare la paura del volo.
Non ho mai approfondito veramente; con le opportune delicatezze e qualche forma di anonimato magari…

 

 

DIARIO DI UNA MOGLIE INSONNE
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